martedì 27 novembre 2012






La casa, il viaggio.


Succede, ed è una sensazione insolita, in parte curiosa e appagante. Al termine di un viaggio (in particolare poi se è durato per un lungo periodo) le stanze della mia abitazione mi salutano con un abito nuovo.
            Mi sembra, ma questa sensazione scompare dopo una ventina di minuti, di visitare un luogo conosciuto ma lontano, remoto. Forse l'aura del luogo, in mancanza degli abituali occupanti, si risveglia e si riappropria della sua esistenza, immergendosi nella sua atmosfera.
            Con lo sguardo che corre lungo le pareti, che sfiora i mobili e si sofferma sugli oggetti, sui libri, mi rendo conto che tutto sembra immobile, immerso in una pausa temporale. E' una sensazione di magica sospensione, un lieve stacco fiabesco, che produce  stordimento.
            Poi, prendendo in mano un libro, sfogliandolo, oppure raddrizzando un quadro (ma è più una conferma tattile che una reale esigenza), spostando una sedia, il tutto riprende vita, ritorna al consueto.
            Certo, ora il viaggio è terminato e si riprendono i vecchi ritmi, si ritorna alla solita routine. L'antro abitativo, la stanza dei miei giorni, reclama forte la sua presenza con il suo vestito statico fatto di ferro e cemento, e con un ritmo lento, ricomincia a sorridermi


                                                          RinaldoAmbrosia


sabato 16 giugno 2012

Il Gabbiano Livingston


Di  Richard Bach

“ Quei gabbiani che non hanno una meta ideale e che viaggiano solo per viaggiare, non arrivano da nessuna parte e vanno piano. Quelli invece che aspirano alla perfezione, anche senza intraprendere alcun viaggio, arrivano ovunque.

(per arrivare)  tu devi innanzitutto persuaderti che ci sei già arrivato

pag.72  e, per lui, mettere in pratica l’amore voleva dire rendere partecipe della verità da lui appena conquistata, qualche altro gabbiano che a quella verità anelasse”

Mie considerazioni:
   
     Il desiderio di volare sempre più in alto, come il gabbiano Livingston, porta inevitabilmente ad una solitudine non voluta.
     Infatti lui desidera che gli altri lo imitino ma questi presto si stancano e lui resta solo a cercare di raggiungere la meta e forse la delusione di non essere emulato farà sì che lo scopo non venga raggiunto neppure da lui.

    Quando vedo i gabbiani volare basso sui fiumi sporchi e a stormi raggiungere cumuli di rifiuti alla ricerca del cibo, vorrei cercare l’autore del libro e fargli notare come l’adattamento dei gabbiani li ha fatti scendere così in basso.

Quanti pochi Gionatan, proprio come gli uomini: la maggioranza sono quelli che si azzuffano per strapparsi tra loro quei rifiuti con grinta e cattiveria.

                                                              Maria Dulbecco

Il Gabbiano Livingston


venerdì 2 marzo 2012


IL POETA

Il poeta si ama
il poeta si ascolta.
Assorbono i suoi pensieri
le rime e le assonanze
scaturite da sensazioni
irripetibili
ed in loro il suo spirito
si appaga.
Si avvolge in esse
li recita a se stesso
ne gode in prima persona
come un innamorato
della persona amata.
Agli altri porge
pago di un’attenzione
che non chiede
ma avverte se
esiste.
               Maria Dulbecco

mercoledì 1 febbraio 2012

Neve a Rivoli e un mio pensiero



Questa foto l'ho scattata Domenica 29 Gennaio al mattino prima che passasse lo spartineve silla strada.
Oggi, mercoledì ore 20, sta ancora nevicando sulla neve ghiacciata!
           Questo a Rivoli (To)


PENSIERI

Non trovo mai la penna     
                                   al momento giusto.
Non trovo mai la parola
                                   al momento giusto.
Non trovo mai la mano tesa
                                   al momento giusto.

E quando trovo la penna               
                                   non ho più le parole.
E quando trovo le parole
                                   non ho più chi ascolta.
E quando trovo la mano tesa
                                   non desidero più ricevere!

                                 Maria Dulbecco



martedì 17 gennaio 2012

Il principe azzurro

IL  PRINCIPE   AZZURRO

E’ uno dei temi del corso unitrè
Ho rimandato di qualche settimana l’argomento poichè ritenevo di non avere nulla da scrivere a riguardo.
Ma uno di quei famosi cassettini della memoria si è prepotentemente aperto e mi ha ricordato che non solo un principe azzurro lo avevo sognato ma era esistito nella realtà dei miei undici o dodici anni.
Mi rivedo ancora in quella terza navata a sinistra della chiesa parrocchiale dove la nostra “scuola cantorum”, della quale facevo parte, si riuniva attorno all’armonium per cantare gli inni del caso e negli intervalli di canto il mio sguardo era rivolto verso la terza navata in fondo a destra da dove due occhi mi guardavano al di sopra delle teste che riempivano la chiesa.
Tutte le domeniche i miei sguardi si incontravano con i suoi e quanto soffrivo se qualche volta non li trovavo.
Bello, il vero principe dei miei sogni.
Quando uscivo dalla chiesa,  con la
 mia amica del cuore, lo trovavo all’uscita e ancora lo incontravo nelle passeggiate per il paese. Ma neppure alla mia amica permettevo si avvedesse di quegli sguardi nè con lei ne avrei mai parlato, avvicinarsi non era neppure pensabile, il paese intero avrebbe mormorato e ne sarei morta di vergogna.
Quegli aguardi innocenti potevano provocare uno scandalo.
Un giorno, uscendo dalla chiesa per una funzione pomeridiana, da una casa vicina, sentimmo arrivare della musica e una ragazzina come noi ci invitò ad entrare. Io e la mia amica, quasi furtivamente, ci infilammo in quella porta ed in una stanza con le finestre accuratamente chiuse verso la strada, vi erano persone che ballavano.
Il mio principe era tra loro e il mio cuore sussultò dalla gioia quando mi si avvicinò per invitarmi a ballare.
Il primo e forse ultimo ballo della mia vita.
Non sapevo ballare e glielo dissi: non preoccuparti, ti insegno io e felice tra le sue braccia ascoltavo il suo dirmi- due passi a destra, un passo a sinistra forse era così che diceva, ma tutto quello che ancora ricordo è che si trattava di un tango e che volavo tra le sue braccia.
Avevo i capelli lunghi con la riga da una parte così che per metà essi scendevano sul viso coprendomi in parte la fronte e lui per farmi un complimento mi disse: sei pettinata alla Veronica Lake. Non vi erano sale cinematografe in paese ma sapevo che la nominata era un’attrice.
Era la prima ed unica volta che l’ho visto da vicino e il mio principe aveva i capelli ricci e neri (non era biondo come nella tradizione) ma aveva gli occhi azzurri.
Avrei voluto che quel pomeriggio non finisse mai, ma come nelle fiabe, prima dell’imbrunire, abbandonammo frettolosamente quella casa per tornare a casa in tempo da non perdere la fiducia che i nostri genitori ci accordavano.
Neppure in quel caso confidai il mio segreto all’amica, tornai a casa a fantasticare e mi ricordai un episodio accaduto in seconda elementare quando lo stesso ragazzino fu punito dall’insegnante per aver lanciato un biglietto sul mio banco e denunciato dalla bimba che mi sedeva accanto.
Sognavo di incontrarlo ancora e questo avveniva spesso essendo il paese piccolo, ma il nostro era sempre un incrociarsi di sguardi innocenti.
Sembra che questi sguardi siano stati notati da altri che non li hanno giudicati tanto innocenti se un giorno la mia amica del cuore addusse un pretesto per non uscire insieme.
Siccome anche lei pativa questa nostra separazione, sedute su uno scalino, sempre all’ombra di questa chiesa mi confidò: “Mammà non vuole che esca con te perchè ha saputo che tu vedi Mario” (era questo il nome del ragazzo).
Non era vero ma quel gioco di sguardi era diventato uno scandalo di dominio pubblico.
 Mi cadde il mondo addosso, la pregai di riferire a sua madre che non era vero niente e che mai ne avrebbe fatto parola con mia madre poichè me ne sarei vergognata. Poi lei che era sempre con me, sapeva che l’unica volta che ci eravamo avvicinati  era stato a quel ballo in cui c’era anche lei e del quale nessuna di noi poteva riferire.
Soffrii la mia prima pena d’amore, ma il terrore di essere giudicata male mi impedì di continuare a ricambiare quegli sguardi ed evitare di girarmi in chiesa verso quella navata in fondo.
Passato pochi anni, il mio principe si trasferì a Roma per i suoi studi, io a Torino così, le nostre strade presero direzioni diverse e non ci incontrammo più.
Aprendo oggi quel cassettino ho provato una tenerezza infinita per quella innocente prima inconsapevole pena d’amore.

                 Maria Dulbecco


venerdì 6 gennaio 2012

Poesia

Vi posso far conoscere una bella poesia di Danila?

Imprigionata nella pioggia

Imprigionata nella pioggia
Di un’infanzia solitaria,
ho voluto la luce,
adorato la luce,
evocato la luce
in immagini e sogni

Il mio calice pieno
Non sempre si fa strada
Fra le nubi dei volti,
si può spezzare
contro le ombre
dilaganti
delle notti del cuore.

Sono una cercatrice di sorrisi,
troppo spesso delusa,
che continua il cammino
a piedi nudi.

Danila Corlando